sabato 4 luglio 2020

La via de' Guardini

Stamani avevo voglia di fare un cammino speciale nel territorio di San Miniato e, visto che la via Francigena per Gambassi l'ho già fatta una volta, ne ho inventato uno nuovo. L'ho chiamata la via de' Guardini.
Il nome non è banale come sembra ma ha un significato preciso che scopriremo strada facendo.
La partenza è avvenuta alle sette e dieci dal campo sportivo di Corazzano dove ho lasciato l'auto nel parcheggio.
Ho lasciato un paese brulicante di persone alle prese con loro attività mattutine (tipo fare colazione al circolo) percorrendo via Zara in direzione ovest e, appena fuori dell'abitato, ho preso la strada per la Pieve di San Giovanni Battista.
In questa chiesa, ad oggi chiusa, sono stati battezzati mio babbo Ademaro nel 1948 e mio nonno Fortunato nel 1917.


La strada asfaltata sale e permette di prendere dall'alto una visione d'insieme della bella ed ampia Valdegola. Mi fa sempre tenerezza vedere un fiume quando ancora deve arrivare nella zona industrializzata che lo attende, prima di gettarsi in Arno.
Passato il cimitero che c'è poco dopo la Pieve, la strada diventa finalmente bianca e sale ancora verso la località Gello.
Fossi stato un eroe, avrei preso a sinistra in direzione Corniano per chiudere l'anello che mi ero prefissato passando da San Quintino. Tuttavia, per farla corta, al bivio ho preso a destra per Mellicciano e sono andato a riprendere il percorso della via Francigena ufficiale che porta a Cojano.
Mi ha fatto piacere incontrare qui l'amico Giovanni Corrieri, autentico mentore di tutti i pellegrini della via Francigena.
Nella Pieve dei Santi Pietro e Paolo Apostoli di Cojano, sono stati battezzati il mio trisavolo Pietro nel 1878, il mio quartavolo Eugenio nel 1845, il mio quintavolo Giuseppe nel 1812 e il mio esavolo Michele nel 1786 di cui ho già parlato in un precedente post.


Dietro la Pieve, anch'essa ad oggi chiusa, c'è un grazioso punto sosta per i pellegrini, dove mi sono fermato a riposarmi un poco. Ho scoperto che da qui si vede San Gimignano.
La strada che riporta verso la valle è di nuovo asfaltata e per niente piacevole da percorrere col caldo che aumenta tuttavia, una volta arrivato in fondo alla discesa, mi sono allontanato dalla carreggiata per percorrere il sentiero arginale di fianco al torrente Orlo.
In realtà ho fatto questo con un altro preciso intento. Un parente mi disse una volta che la Val d'Orlo era conosciuta come la Valle del Guardini ed io ho ne conosco bene il motivo.
Il Michele Guardini anzidetto, era un mugnaio e possedeva un proprio mulino lungo questo torrente.
Così sono giunto (lo confesso, emozionato) nel luogo dove, secondo le mie ricerche nelle mappe del catasto leopoldino, si trovava il mulino di Michele.
Ero preparato al fatto che probabilmente non avrei trovato niente di ciò che ivi esisteva due secoli fa , però ammetto di aver provato delusione nel riscontrare che effettivamente non è rimasta più nessuna traccia.


Ho dovuto anche guadare il torrente, per fortuna quasi secco, per proseguire il cammino sull'altra riva ma mi stavo andato a impelagare in un campo di girasoli, così sono tornato indietro.
Dopo essermi rovinato le gambe con l'ortica e "smotato" tutte le scarpe, sono arrivato presso il confine del parco di una casa vacanze forse tedesca.
Inaspettatamente, vi ho trovato un piccolo "gozietto" sotto ad un boschetto e subito la mente è andata al bacino che un tempo vi si trovava per alimentare il mulino dell'avo Michele, riportato sulla mappa catastale succitata.


Rinfrancato dalla scoperta, sono rientrato sulla strada asfaltata per percorrere l'ultima mezzora sotto il sole cocente, ormai prossimo al mezzogiorno.
Poco prima della Casastrada, ho notato che l'Orlo incrocia qui la strada prendendo la direzione che lo porta ad affluire le sue poche acque all'Evola. Così ho preso nuovamente il sentiero arginale, deliziosamente pulito, e in pochi minuti sono arrivato al campo sportivo di Corazzano, da dove ero partito poco più di quattro ore prima.
Alla fine, la neonata via de' Guardini è risultata lunga circa 12 Km poco impegnativi (poco più di cento metri di dislivello) e se a qualcuno è venuta voglia di farla, io ci ritorno e ce lo accompagno volentieri.

sabato 20 giugno 2020

Jukebox

1.
Fu appena d’otto grammi, ferro e cromo,
il peso con il qual, scevra di pecca,
riempì la tasca vuota d’un brav’uomo
già nel cinquantasei, nuova di zecca;
ne fecero elemosina in un duomo,
passò di mano grassa in mano secca
mostrando fiera il lauro sulla testa,
dietro Minerva con la lancia in resta.

2.
Poteva addirittura far la cresta
per un caffè soltanto e due giornali,
passò di mano lenta in mano lesta
per quei decenni mitici, speciali;
un giorno, capitò dentr’una festa
e d’un Jukebox accese tre canali,
così due labbra giovani, vicine,
promisero un amore senza fine.

3.
Ma il tempo suo finì tra le rovine
d’un mondo più esigente e meno avaro,
punita da uno zero di confine,
venne reclusa in un salvadanaro;
la libertà le fu ridata, alfine,
inascoltata dal destino amaro,
eppure… a quante scelte diede voce
nel dispensare, all’uopo, testa o croce!

4.
Da allor, ripara l’invecchiar precoce
dentr’un borsello ove una man rugosa
la custodisce, almeno qui non nuoce
la quieta sua presenza silenziosa;
da fuori echeggia il tintinnio veloce
d’una moneta nuova e vantaggiosa,
sua degna erede nell’ingrata impresa
di spicciolo, pei resti della spesa.

5.
Ma non si creda che si senta offesa
o che bramasse, d’un museo, la teca,
del suo trascorso, la più bella intesa
si compie nel borsello che la reca;
tra amabili ricordi si palesa
una promessa come un’ipoteca
su quell’amor giurato a non finire
e vale molto più di cento Lire.


Segnalazione speciale per la metrica
11° concorso letterario nazionale
Città di Cologna Spiaggia
associazione culturale il Faro
27 settembre 2020

domenica 1 marzo 2020

L'Orchidea

1.
Se la fortuna, come par, sia cieca
nel dispensar bellezza tra i mortali,
a volte il generoso dono spreca
ed è cagione di soprusi e mali!
Sull’argomento, una leggenda greca
racconta un episodio senza eguali:
Quest’è la storia di Orchis, giovincello
che avea per dote l’esser tanto bello!

2.
Di tal virtù costui faceva orpello
per conquistare il cuor delle ragazze,
sia fossero di rango o di bordello,
senza badar a condizioni o razze!
Con questo chiodo fisso nel cervello,
faceva il farfallone nelle piazze,
amava mille donne, giorno e notte,
dalla fatal bellezza sua, sedotte!

3.
Succede alle persone troppo ghiotte
d’ambire ad un’utopica chimera
ed Orchis, che le donne aveva a frotte,
voleva oltrepassare la frontiera!
Del monte Olimpo prese le condotte
e, degli dèi, partecipò alla fiera,
nell’orgia d’un chiassoso baccanale
recò la sua bellezza, già fatale!

4.
Accadde che incontrò una dea vestale;
s’innamorò della divina essenza
ma lei non cadde nella sua spirale
perché non le serviva l’apparenza!
Ferito nell’onor, se n’ebbe a male;
rispose a quel rifiuto con violenza
per conquistar la preda mise in atto
un gesto vile e poi fu soddisfatto!

5.
Appena Zues apprese quel misfatto,
l’ira del dio si scatenò veloce
per Orchis che non fu pentito affatto
perciò si meritò una fine atroce!
In una grande fossa venne tratto
in pasto ad una belva assai feroce
ma pria che i resti andassero perduti,
dal corpo, gli tagliaron gli attibuti!

6.
Di sua bellezza allergica ai rifiuti,
rimaser solo quelli, dopo morto,
pei qual tanti problemi aveva avuti
e furon sotterrati dentro un orto!
In terra germogliaron, son cresciuti,
il bulbo di Orchis, prodigioso, è sorto;
così sbocciò un bel fiore d’orchidea
col quale si conclude l’epopea!

7.
La donna è ugual preziosa ad una dea,
eppure troppe volte s’è sentito
l’abuso di chi forte si credea:
datore di lavoro, oppur marito!
Bisogna ribadirlo alla platea:
contro di lor non s’alza neanche un dito!
E se non fosse chiaro, in questi toni…
ce n’è di campi ‘n do’ pianta’ i coglioni!

Il Giaggiolo

1.
Il fior dell’Iris, detto pur Giaggiolo,
esprime simpatia nel suo linguaggio;
emana i sentimenti dal bocciolo:
fiducia, ammirazione e un bel coraggio!
Come farfalla in petaloso volo,
al soffio d’una brezza di passaggio,
dipinge il cielo con i suoi colori
mentre diffonde delicati odori!

2.
Si posson regalar, di questi fiori,
a’ laureandi in segno di speranza;
come per dir a’ giovani dottori:
«Sperate nel lavoro in abbondanza!»
Si dice, ancor, che manda via i dolori
e le presenze oscure dalla stanza;
d’amor divino, è simbolo propizio
sì come di virtù, mica di vizio!

3.
Lo conosceva già l’antico egizio,
se ne faceva unguenti, il faraöne;
Firenze, invece, si levò lo sfizio
chiamarlo giglio sopra il gonfalone!
Ma se leggiam la storia dall’inizio,
de’ greci mitologica visione,
sul Monte Olimpo, v’eran Zeus ed Hera
ed Iris, degli dèi, la messaggera.

4.
Bellissima e sollecita foriera
soltanto di notizie interessanti,
dotata per volare via, leggera,
librandosi con vesti svolazzanti;
sgombrando, col caduceo, la bufera
ad ali d’oro, roride e brillanti,
dal sole illuminate e il ciel sereno
che traccia la sua scia: l’arcobaleno.

5.
Codesto suo servizio a tempo pieno
d’ambasciatrice del pensier divino,
sull’erta via tra ‘l cielo ed il terreno,
l’avrebbe fatto mai nessun postino?
Ma non servì un lavoro senza freno
a meritar più fulgido destino,
tant’è che in ogni tempo posteriore
vien ricordata come dea minore.

6.
Di tante donne, il meritato onore,
l’umana ingratitudine cancella
per distrazione, vanità, pudore
o, peggio, perché portan la gonnella!
Or ci sorprende, del Giaggiolo il fiore,
narrando questa insolita novella
per ricordar quando la donna sale
sul proprio arcobaleno, quanto vale!

domenica 12 gennaio 2020

La soffitta

L’angusta oscurità d’una soffitta,
com’una tomba, custodisce i gesti
di vite estinte, silenziosi testi,
capitoli di storia fatta e scritta.

D’un nonno avverto la presenza zitta
in quella bomba che, non crederesti,
fumosa guerra abbia serbato i resti
ed il mortaio, mai l’avrebbe inflitta.

La guardo, disarmata, nera latta
destar l’angoscia che non fu compiuta;
l’ebbi narrata e mi pareva astratta.

Nella soffitta resta, sottaciuta,
al che la vita non ne sia distratta;
la guerra è quella cosa già accaduta.

sabato 11 gennaio 2020

Il confine

Un proprietario astioso di collina
e un altro di pianura, anch’egli guasto,
alimentaron secolar contrasto
in seno a una questione di confina.
 
Il geometra marcò, con penna a china,
il punto sulla mappa del catasto
e al piede d’un ciglione, antico e casto,
forier di pace, pose una palina.
 
Ma grave offesa giunsegli: «Lei erra!»
Di mezzo metro, ognuno urlò mancanza
e la dichiarazion firmò, di guerra.
 
In tribunale s’arenò l’istanza;
finì che entrambi furon sottoterra
dov’ora, il mezzo metro, ahimè, gli avanza.


Quarto classificato
7° concorso letterario nazionale
Premio Giotto - Colle di Vespignano
16 maggio 2020

venerdì 10 gennaio 2020

Rubamazzo

Ricordo il lieto, giovanil sollazzo
in quelle carte di toscano fregio;
figure amiche: donna, gobbo e regio
pronte a giocar, con nonna, a rubamazzo.
 
Mi vedo allora, candido ragazzo,
gustare, divertito, il privilegio
d’accaparrarmi roba altrui con spregio
e non patir, del furto, l’imbarazzo.
 
Or mi rivedo, smaliziato adulto,
figura spoglia, cupa, d’un riquadro
ove rubar per gioco, mòve insulto.
 
Chissà se un dì, del tempo mio leggiadro,
bramoso il cuor d’un ultimo sussulto,
rinascerò, felicemente, ladro.