lunedì 18 novembre 2013

La notte di San Lorenzo

“Mardocchio e mardocchiati, San Giobbe aveva i bachi,
medicina medicina, un po’ di cacca di gallina,
un po’ di cane un po’ di gatto, domattina è tutto fatto,
singhiozzo singhiozzo, albero mozzo, vite tagliata, vattene a casa,
pioggia pioggia corri corri, fammi andare via i porri!”.

Cadenti stelle osservo sulla Rocca
assorto, e mi rammento i desideri
appesi ad una vecchia filastrocca.

All’improvviso torno co’ pensieri
al millenovecentottantadue,
stanno girando un film di fatti veri…

Com’un attore fra le scene sue
vagando, incontro un vecchio che mi chiede:
“Per quale brama ardisti fin quaggiue?”

Rispondo: “E che ne so!” Così mi vede
sgomento, che rimugino e domando
in questa storia com’ho messo piede.

Costui, di sotto a’ baffi biascicando,
co’ la pezzola, l’ampia fronte asciuga,
nel gesto, par che voglia dare l’ando

a’ dubbi che trasudo ‘n ogni ruga.
Il nome poi mi svela, il personaggio,
Egli è Galvano, contadino ‘n fuga.

Ha seminato tutto il suo coraggio,
nel loco ch’è chiamato San Martino…
per affrontare il periglioso viaggio

dal buio scantinato cittadino,
con genti a passo spinto di paura
ché, dicon, l’alleato è qui vicino.

Nella campagna morsa dall’arsura,
a’ profughi vorrei accodarmi, adesso,
nel lento andar lontano dalle mura,

ma resto, ancora attonito e perplesso
per quel vagare stracco e disperato,
che par, del tempo mio, quasi lo stesso.

Persuasi che il terreno sia minato
da chi amministra ‘l popolo e la Lira,
al largo d’un governo sfiduciato

da sempre, con sospetto, ci s’aggira,
mentre da fuori, il prossimo padrone
bombarda senza prendere la mira;

e in tutta quest’assurda confusione,
sul muro della storia del potere,
un’altra lapide, al dolor, si pone.

M’attardo a rivoltar vane chimere,
intanto che il drappello è già lontano,
braccato da chi porta vesti nere.

Laggiù si ferma, il gruppo di Galvano,
nel campo e, come quando c’è la conta,
in fretta si rimpiatta giù nel grano.

Matura, tra le messi, rabbia pronta
da mietere coi colpi d’archibugi
sparati dalla gente che s’affronta

a muso duro, fuori dai rifugi;
lontani amici a’ giorni meno tristi:
Nicola, Dilvo, Giglioli, Marmugi…

Chi sono i partigiani? E chi i fascisti?
Questi son solo compaesani illusi
che fingon di non essersi mai visti,

ma quando riapriranno gli occhi chiusi,
dell’astio che nel cuore s’appassisce,
l’aspro sapor li lascerà delusi.

“O sparagli un lo vedi ‘ome patisce?”
L’ultimo colpo udito dalla bocca
e il sogno d’esser io, nel film, finisce.

Si spengono le luci sulla Rocca,
cadon le stelle, cadono le torri,
dimentico la vecchia filastrocca

sì come pioggia fa svanire i porri.


lunedì 8 luglio 2013

Il melo

1.
Nello sperar che sia di vostro gusto,
narro una storia colta nei frutteti;
sul ramo d’un bel melo, il più robusto,
son tre bambini a cavalcioni e lieti,
c’è Gino che propone a Piero e Augusto
di costruir, pei giochi lor segreti,
una casetta al ramo imbullettata
dove passare, insieme, la nottata.

2.
Udita la proposta ed approvata,
ecco che Piero invita alla prudenza:
“Nessuna impresa” dice “va iniziata
senza l’avallo della Presidenza!”
A Gino e Augusto par cosa sensata
la votazione e, vista tanta urgenza,
ciascun prende un foglietto e un lapissino
per affidar, dell’opera, il destino.

3.
Ma Piero, furbo assai seppur bambino,
ha brama di pigliarsi il privilegio
e invita Augusto a scriver sul foglino:
“Io voglio che sia Piero il grande regio.”
Poi lui vota per sé e l’ingenuo Gino
nemmen s’accorge dell’odioso spregio!
Con due voti a favore ed un contrario,
è Piero, del Governo, il gran primario.

4.
Il fido Augusto è fatto segretario
invece Gino, in base a nuova Legge,
è addetto a cercar tutto il necessario:
martello, chiodi e trave che sorregge;
questioneranno poi del suo salario…
lavora, intanto, Gino tra le schegge!
E mentre quei discuton del progetto…
sta Gino a capo basso per rispetto!

5.
Montato l’impiantito e, sopra, il tetto
la casa è pronta a regalar riposo
ma Piero fa rifare un solo letto
ché non s’addice al ruolo suo pomposo
spartir la stessa stanza col cadetto
e, poi, con l’operaio è indecoroso!
Dovran dormire in mezzo alla natura
al pie’ del tronco, sulla segatura.

6.
Cala la notte su quest’avventura
stramaledice Augusto le sue colpe;
la mela era per tutti e ben matura
ma un torsolo restò, senza le polpe!
L’eletto ha da temer, or, la congiura,
a mezzanotte in punto scatta il “golpe”
con Gino lì che dorme e se ne frega,
Augusto osserva il melo e poi la sega.

7.
S’arrampica sul fusto e là si lega
con una corda al ramo e invia a tagliare
ma per error, che col furor si spiega,
s’era legato al lato da potare!
Il vecchio melo scricchiola e si piega,
per Gino è troppo tardi per scappare,
il melo viene giù con tutti i pomi
riempiendo i tre bambini d’ematomi!

8.
La storia l’ho inventata e pure i nomi,
non v’è da dubitar ci sia del vero
ma se vi par di risentir gli aromi
che della vita appestano il sentiero,
non c’è da rider né da fare encomi
che vi sentiate Gino, Augusto o Piero.
C’è solo da subir, sorte crudele,
da quelli che ci piglian per le mele!


Terzo classificato a OTTOTTAVE - Concorso di scrittura poetica in ottava rima - VI edizione 2013
Firenze, Biblioteca delle Oblate, sabato 6 luglio 2013
Tema: "Il privilegio e lo sfruttamento"
Giuria composta da: David Riondino, Sergio Staino, Cristina Giachi, Gianbruno Ravenni, Marzio Matteoli, Riccardo Tesi, Maurizio Geri.
IL VIDEO DELLA PREMIAZIONE

sabato 23 febbraio 2013

Tra politici e preti...


Ce n'hanno detti tanti, d'ingredienti,
che ci si cuocerebbe lo sformato
d'insipide promesse e cambiamenti
uguale a quel più volte desinato!
Domani, un di que' simboli cocenti,
col segno della croce va vergato;
s'attende ingenui l'ostia benedetta
ma, dice, sia scomparsa la ricetta!

sabato 2 febbraio 2013

L'ultimo proverbio


Scendevo il marmo (grigio) delle scale
fermandomi al quartultimo gradino;
respiro... Salto! Atterro. Ciliegino!
Attento ché potresti farti male!

Riscendo il marmo (or è condominiale),
mi fermo sul superstite zerbino;
perché non salto più com'un bambino?
perchè finisti un giorno all'ospedale?

Respiri... ma l'affanno è troppo atroce.
Vorresti saltar giù da questo letto!
Atterri... Marmo (grigio) ed una croce.

Sullo zerbino, il tuo proverbio aspetto.
"Ogni lasciata è persa". La tua voce
che manca nel profondo del mio petto.


martedì 8 gennaio 2013

La Befana


Dell’anno nuovo, in quel di San Miniato,
andava via la prima settimana
quando un fatto increscioso ha poi turbato
il capo dell’intelligence nostrana;
certi foglietti l’hanno preannunciato:
“Tra pochi giorni arriva la Befana!”
Con sprezzo di pericolo e umorismo,
s’attiva il piano… contro il terrorismo!

Intanto, l’assessore sul Turismo,
riunito con la Giunta, là, ai Giardini,
in preda ad un tremendo meteorismo
mostrava l’emergenza al Gabbanini:
- Bisogna trasferi’ in agriturimo
duemilacinquecento cittadini...
So già come si fa l’evacuazione,
ho già tirato giù più d’un bandone! -

Ma poi viene proposta una mozione:
Se la Befana arriva così in fretta,
avrem la portavoce d’eccezione;
sarà una rispettabile architetta
esperta di sentieri del carbone;
semmai, ce l’accompagnerà Maglietta;
con questo comitato d’accoglienza,
si vede che siam pieni… d’eccellenza!

Nel frattempo, la guardia d’emergenza
ha già rimosso i foglietti abusivi
onde evitare la grave insorgenza
di panico, tra quelli ancora vivi;
privi di timbri e date di scadenza
son stati accartacciati negli archivi
a ricordar quel giorno sventurato
che venne la Befana a San Miniato.