martedì 25 novembre 2014

Gucci


Quando il Gucci arrivò a San Miniato, non c’erano né le cicale strillanti che nel 1857 fomentarono la goliardia d’un ventenne, né quelle silenti che nel 1944 protessero la fuga d’un quindicenne.
Forse nemmeno le cicale abitavano più gli alberi a San Miniato, quando il Gucci vi arrivò, nell’Estate 2031. Al loro posto, il desolante lamento d’una città dimenticata.
I vetusti palazzi penzolavano calcinacci sulle lastre consunte delle strade deserte, ai lati delle quali si succedevano mestamente sbiaditi cartelli “vendesi/affittasi” sulle serrande e sui portoni chiusi. Più su, oltre i tetti sofferenti, una selvaggia macchia verde aveva ormai conquistato il poggio di Rocca, colonizzandone il prato e le pendici.
San Miniato contava allora una manciata di abitanti, tra vecchi e stravecchi, ai quali talora mi accompagnavo anch’io nelle stanche passeggiate. Eravamo perlopiù impiegati nella contemplazione del volo dei piccioni; d’altro canto cos’altro si poteva fare là dove non c’erano più scuole per aspettare nipoti e uffici per accodarsi agli sportelli?
Vent’anni prima, fervevano intensi dibattiti per salvare la città dalla crisi, che sempre cominciavano e terminavano con quella solita amara considerazione: «San Miniato sta morendo!»
Talmente tanto risuonò quel triste presagio, che alla fine San Miniato morì per davvero.
Sedevo alla Loggetta del Fondo quando vidi il Gucci arrivare con la timida pretesa di far conversazione. Mi sforzai, ma non più di tanto, di rimuovere dal viso l’apatia del vivere solitario, e gli chiesi il motivo della sua venuta.
«Vorrei aprire un’attività a San Miniato!» La sua risposta, come la didascalia d’una vignetta umoristica, mi suscitò una grassa risata.
Ma lui era seriamente determinato a realizzare il suo progetto. Nei giorni a seguire, si accordò per l’affitto di un fondo in via Dilvo Lotti e vi si chiuse dentro per una settimana di alacri lavori.
Quando la saracinesca finalmente si riaprì, i vecchi accorsero curiosi a leggere il testo dell’insegna: “Le risorse di San Miniato”.
Per un po’, il loro passatempo fu l’indovinare cosa vi si vendeva, con opinioni molto distanti. Unanime fu, tuttavia, il dubbioso parere sul suo destino, eco di quel che s’usava dire anche vent’anni prima: «Quanto ci durerà?»
La bottega del Gucci era aperta tutti i giorni, ma nella sua prima settimana di vita, non vide avvicinarsi neppure un cliente. I vecchi, esauritasi l’euforia della novità, avevano ripreso le loro monotone funzioni vitali, e anch’io non mi dispensavo dal trascorrere i miei usuali pomeriggi alla Loggetta del Fondo.
Fu in uno di questi che il Gucci, come il giorno del suo arrivo, si fermò a chiacchierare con me.
Gli domandai sarcastico: «Come va il lavoro?»
«Molto bene, grazie!»
«Di’ un po’, esattamente… cosa fai?»
«Vieni a trovarmi, così lo scoprirai!»
“Le risorse di San Miniato” dovette aspettare un anonimo lunedì per accogliere il suo primo avventore. Era Roberto di Cigoli, un personaggio singolare che quando veniva in città provocava la pubblica ironia per via del suo continuo parlare ad alta voce al cellulare con interlocutori immaginari.
Nessuno seppe cosa acquistò Roberto, ma appena egli uscì dal negozio con un foglietto in mano, lo videro fare una sequenza interminabile delle sue finte telefonate per decantare con entusiasmo sfrenato le straordinarie risorse di San Miniato, invitando tutti a venire a scoprirle.
In effetti, quel che avvenne da quel giorno in poi, fu davvero straordinario.
Come non accadeva da tempo immemore, le giornate deserte di San Miniato tornarono ad animarsi di persone: erano proprietari di case sfitte venuti a misurare il degrado dei loro possessi; erano giovani coppie in cerca d’un nido d’amore; erano ambiziosi imprenditori forestieri pronti a scommettere sul futuro; erano abitanti delle frazioni nostalgici del loro antico capoluogo; erano variopinti turisti venuti a varcare la porta aperta sulla storia.
Ognuno di questi, appena giunto in città, si recava dal Gucci e ne usciva poi con un foglietto in mano, come se non avesse acquistato nulla, ma evidentemente aveva trovato la risorsa che cercava, e quel che succedeva dopo ne era la dimostrazione.
I proprietari avviarono la ristrutturazione dei loro palazzi, le giovani coppie riaprirono le finestre per godere degli infiniti panorami, gli ambiziosi imprenditori rivaleggiarono per accaparrarsi i fondi migliori, gli abitanti delle frazioni si fecero volontari per sistemare gli spazi pubblici e i turisti raccontarono nei loro ritorni di quanto San Miniato fosse bella e ricca di risorse.
Era passato all’incirca un anno da quando era arrivato il Gucci, e solo allora finalmente mi decisi ad accettare il suo invito e andare a fargli visita.
Con grande stupore, trovai la bottega chiusa.
Deluso, tornati alla Loggetta e vi trovai il Gucci che mi aspettava per un ultimo saluto.
Gli chiesi: «Perché te ne vai proprio adesso che San Miniato è tornata a vivere?»
«Ora che tutti hanno ritrovato le loro risorse, non c’è più lavoro per me.»
«Prima di andare, mi dici che cosa vendevi?»
«Non ho mai venduto niente.»
«Niente? Allora cosa hai detto alle persone per convincerli a rimanere a San Miniato?»
«Ho parlato al loro cuore.»
«Per anni, anch’io ho cercato mostrare ai sanminiatesi il valore delle loro risorse, ma questi rispondevano sempre che la città era destinata a morire. Non credo che esista un linguaggio in grado di parlare al loro cuore ma, se tu lo conosci, ti prego di dirmi qual è!»
Il Gucci, al mio accorato sfogo, non ribatté. Trasse dalla giacca un taccuino ed una matita ed iniziò a scrivere. Quand’ebbe finito, strappò il foglietto e, prima di congedarsi definitivamente dalla città, rinata grazie a lui, mi fece dono dell’ultima sua “risorsa”: 
Hai brama di conoscere il linguaggio
che scorre senza tempo sulle vite
recando seco alle anime smarrite
la voglia di partir per nuovo viaggio.
Te lo rivelo prima d’andar via
al che ti sia tesoro. È la poesia.

Nessun commento:

Posta un commento