Quando il Gucci
arrivò a San Miniato, non c’erano né le cicale strillanti che nel 1857
fomentarono la goliardia d’un ventenne, né quelle silenti che nel 1944 protessero
la fuga d’un quindicenne.
Forse nemmeno le
cicale abitavano più gli alberi a San Miniato, quando il Gucci vi arrivò,
nell’Estate 2031. Al loro posto, il desolante lamento d’una città dimenticata.
I vetusti palazzi
penzolavano calcinacci sulle lastre consunte delle strade deserte, ai lati
delle quali si succedevano mestamente sbiaditi cartelli “vendesi/affittasi”
sulle serrande e sui portoni chiusi. Più su, oltre i tetti sofferenti, una
selvaggia macchia verde aveva ormai conquistato il poggio di Rocca,
colonizzandone il prato e le pendici.
San Miniato contava
allora una manciata di abitanti, tra vecchi e stravecchi, ai quali talora mi
accompagnavo anch’io nelle stanche passeggiate. Eravamo perlopiù impiegati
nella contemplazione del volo dei piccioni; d’altro canto cos’altro si poteva
fare là dove non c’erano più scuole per aspettare nipoti e uffici per accodarsi
agli sportelli?
Vent’anni prima,
fervevano intensi dibattiti per salvare la città dalla crisi, che sempre cominciavano
e terminavano con quella solita amara considerazione: «San Miniato sta
morendo!»
Talmente tanto
risuonò quel triste presagio, che alla fine San Miniato morì per davvero.
Sedevo alla Loggetta
del Fondo quando vidi il Gucci arrivare con la timida pretesa di far
conversazione. Mi sforzai, ma non più di tanto, di rimuovere dal viso l’apatia
del vivere solitario, e gli chiesi il motivo della sua venuta.
«Vorrei aprire
un’attività a San Miniato!» La sua risposta, come la didascalia d’una vignetta
umoristica, mi suscitò una grassa risata.
Ma lui era
seriamente determinato a realizzare il suo progetto. Nei giorni a seguire, si
accordò per l’affitto di un fondo in via Dilvo Lotti e vi si chiuse dentro per
una settimana di alacri lavori.
Quando la
saracinesca finalmente si riaprì, i vecchi accorsero curiosi a leggere il testo
dell’insegna: “Le risorse di San Miniato”.
Per un po’, il loro
passatempo fu l’indovinare cosa vi si vendeva, con opinioni molto distanti.
Unanime fu, tuttavia, il dubbioso parere sul suo destino, eco di quel che
s’usava dire anche vent’anni prima: «Quanto ci durerà?»
La bottega del Gucci
era aperta tutti i giorni, ma nella sua prima settimana di vita, non vide
avvicinarsi neppure un cliente. I vecchi, esauritasi l’euforia della novità,
avevano ripreso le loro monotone funzioni vitali, e anch’io non mi dispensavo
dal trascorrere i miei usuali pomeriggi alla Loggetta del Fondo.
Fu in uno di questi
che il Gucci, come il giorno del suo arrivo, si fermò a chiacchierare con me.
Gli domandai
sarcastico: «Come va il lavoro?»
«Molto bene,
grazie!»
«Di’ un po’,
esattamente… cosa fai?»
«Vieni a trovarmi,
così lo scoprirai!»
“Le risorse di San
Miniato” dovette aspettare un anonimo lunedì per accogliere il suo primo
avventore. Era Roberto di Cigoli, un personaggio singolare che quando veniva in
città provocava la pubblica ironia per via del suo continuo parlare ad alta
voce al cellulare con interlocutori immaginari.
Nessuno seppe cosa
acquistò Roberto, ma appena egli uscì dal negozio con un foglietto in mano, lo
videro fare una sequenza interminabile delle sue finte telefonate per decantare
con entusiasmo sfrenato le straordinarie risorse di San Miniato, invitando
tutti a venire a scoprirle.
In effetti, quel che
avvenne da quel giorno in poi, fu davvero straordinario.
Come non accadeva da
tempo immemore, le giornate deserte di San Miniato tornarono ad animarsi di
persone: erano proprietari di case sfitte venuti a misurare il degrado dei loro
possessi; erano giovani coppie in cerca d’un nido d’amore; erano ambiziosi
imprenditori forestieri pronti a scommettere sul futuro; erano abitanti delle
frazioni nostalgici del loro antico capoluogo; erano variopinti turisti venuti
a varcare la porta aperta sulla storia.
Ognuno di questi,
appena giunto in città, si recava dal Gucci e ne usciva poi con un foglietto in
mano, come se non avesse acquistato nulla, ma evidentemente aveva trovato la
risorsa che cercava, e quel che succedeva dopo ne era la dimostrazione.
I proprietari
avviarono la ristrutturazione dei loro palazzi, le giovani coppie riaprirono le
finestre per godere degli infiniti panorami, gli ambiziosi imprenditori
rivaleggiarono per accaparrarsi i fondi migliori, gli abitanti delle frazioni
si fecero volontari per sistemare gli spazi pubblici e i turisti raccontarono
nei loro ritorni di quanto San Miniato fosse bella e ricca di risorse.
Era passato
all’incirca un anno da quando era arrivato il Gucci, e solo allora finalmente
mi decisi ad accettare il suo invito e andare a fargli visita.
Con grande stupore,
trovai la bottega chiusa.
Deluso, tornati alla
Loggetta e vi trovai il Gucci che mi aspettava per un ultimo saluto.
Gli chiesi: «Perché
te ne vai proprio adesso che San Miniato è tornata a vivere?»
«Ora che tutti hanno
ritrovato le loro risorse, non c’è più lavoro per me.»
«Prima di andare, mi
dici che cosa vendevi?»
«Non ho mai venduto
niente.»
«Niente? Allora cosa
hai detto alle persone per convincerli a rimanere a San Miniato?»
«Ho parlato al loro
cuore.»
«Per anni, anch’io
ho cercato mostrare ai sanminiatesi il valore delle loro risorse, ma questi
rispondevano sempre che la città era destinata a morire. Non credo che esista
un linguaggio in grado di parlare al loro cuore ma, se tu lo conosci, ti prego
di dirmi qual è!»
Il Gucci, al mio
accorato sfogo, non ribatté. Trasse dalla giacca un taccuino ed una matita ed
iniziò a scrivere. Quand’ebbe finito, strappò il foglietto e, prima di
congedarsi definitivamente dalla città, rinata grazie a lui, mi fece dono dell’ultima
sua “risorsa”:
Hai
brama di conoscere il linguaggio
che
scorre senza tempo sulle vite
recando
seco alle anime smarrite
la
voglia di partir per nuovo viaggio.
Te lo
rivelo prima d’andar viaal che ti sia tesoro. È la poesia.
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